John Hiatt - Terms of my Surrender (2014)

di Massimo Orsi

Hiatt è ormai considerato da anni un autentico maestro nello scrivere canzoni ed uno story-teller pieno di satira e humor; con questo nuovo lavoro ci fa ascoltare racconti che passano da argomenti quali la redenzione e le relazioni, sempre più legati a protagonisti suoi coetanei, quindi più anziani ed arrendevoli. Il nuovo disco è musicalmente ancorato al blues acustico, accentuato dalla voce soul e grintosa di Hiatt, che rispecchia la gravità delle liriche riflessive.
Per la produzione di questo disco, Hiatt si è rivolto al suo chitarrista storico Doug Lancio (in passato con Patty Griffin, Jack Ingram). Anche se inizialmente le registrazioni erano composte da un set elettrico, Lancio sfidò quasi subito Hiatt a suonare in acustico, cosa che sembra essere stata ben gradita, in quanto gran parte del disco è inciso in questa maniera; inoltre Hiatt dopo diverso tempo si cimenta a suonare anche l’ armonica. L’ album è stato inciso dal vivo in studio, fatto del tutto naturale in quanto la band utilizzata per le registrazioni è quella che che solitamente accompagna Hiatt negli ultimi anni in tour (Lancio, Nathan Gehri, Kenneth Blevins e Brandon Young).
Premetto che l’ album l’ ho ascoltato una sola volta, quindi provo a descrivere le prime impressioni.
Il suo 22° album in studio si apre con la canzone ” Long Time comin’”, ballata cantautorale rilassata, batteria appena accennata e piano come tappeto sonoro; segue poi “Face of God” che suona come un vecchio blues ed ha un testo che rivela “si dice che Dio sia il diavolo, fino a quando non lo si guarda negli occhi.” Il demone al quale si riferisce Hiatt è la gente che ostenta la propria ricchezza.
“Marlene” è Hiatt al suo meglio: una semplice canzone d’amore ma nelle sue mani diventa un gioiellino con un sound quasi caraibico; “Wind don’t have to worry” inizia folk con un banjo in primo piano ma via via la struttura della canzone diventa più complessa, più rock; ricalca un poco lo stile del miglior Bruce degli ultimi tempi.
“Nobody Know his name” già dal primo ascolto è una delle mie preferite: ballata melodica, col banjo arpeggiato e la chitarra slide in secondo piano, accompagnata dal piano ed una voce femminile a doppiare quella di John, produce brividi di piacere.
“Baby’s gonna Kick” è elettrica, armonica blues, shaker e cori, semplice ma niente male davvero.
“Nothin I love” è blues di stampo classico con un bel assolo di chitarra ma scivola via senza lasciare il segno, considerato i brani presenti nel disco è un brano minore, anche se farebbe la sua bella figura in un qualsiasi altro album.
“Terms of my surrender” ballata dallo stile classico, anni ’60 per intenderci, è rilassata e piacevole da ascoltare. “Here to stay” cresce con l’ascolto ed il sound (ed i cori in sottofondo) mi ricorda alcune cose di Willy De Ville.
Altra canzone da segnalare è “Old People”; non c’è niente di sentimentale nel dare uno sguardo all’invecchiare. Per Hiatt le persone anziane sono invadenti ” puoi ritrovartele che ti spintonano al coffee shop/ ti passano davanti nei buffet al ristorante / potrebbero sembrare persone poco dolci” ed ancora “non importa cosa pensi di loro / sono come dei bambini che sanno ciò che vogliono”. Chiude “Come back Home” voce ruvida e chitarra acustica, poi entra il piano e la batteria e la canzone prende corpo, i cori fanno da contorno ad una ennesima bella canzone che ha l’unico difetto di finire troppo presto.

Le canzoni di Hiatt in passato sono state registrate da artisti come Bonnie Raitt (“Thing called love”), Emmylou Harris, Bob Dylan, Iggy Pop, Rosanne Cash (la Hit Country “The Way We Make A Broken Heart”), Jeff Healey (“Angel Eyes”), ed ha curato anche la colonna sonora dei cartoni animati del film della Disney ‘The Country Bears’. Ha guadagnato una nomination ai Grammy per ‘Crossing Muddy Waters’, mentre B.B. King e Eric Clapton hanno condiviso un Grammy per il loro album ‘Riding with the King’, la cui title track è una sua composizione.
Inoltre ha ricevuto la sua stella sulla Walk of Fame di Nashville, dall’associazione di musica Americana ha ricevuto il Lifetime Achievement Award per il suo Songwriting, è stato introdotto nella Nashville Songwriters Hall of Fame e ha ricevuto l’ Arts Awards in Indiana, il suo stato natale.
L’album rock-country-blues ‘Bring the Family’ inciso con l’ aiuto di Jim Keltner, Ry Cooder e Nick Lowe rimane il suo capolavoro, per questo album fu nominato miglior vocalist maschile nel sondaggio annuale di critica su Rolling Stone. In questi ultimi anni Hiatt ha pubblicato ‘Same Old Man’, ‘The Open Road’, ‘Dirty Jeans & Mudslide Hymns’ e ‘Mystic Pinball’ , tutti quanti hanno ricevuto il plauso della critica e, come ha dichiarato recentemente All Music Guide, per un artista che ha pubblicato ben quattro album in studio in cinque anni, Hiatt sta vivendo un nuovo periodo molto importante e positivo come cantautore.

Le prime impressioni critiche su questo nuovo album di Hiatt dicono che probabilmente è sceso di registro rispetto ai precedenti, nel senso che sembra abbia un po’ perso la voglia di fare rock, lui stesso dice che ha perso smalto nella voce; invece per il sottoscritto è l’esatto contrario, gli ultimi due suoi dischi mostravano un po’ la corda, mentre questo suona fresco ed attira interesse come spesso accadeva ascoltando i suoi precedenti lavori e, ovviamente, ha mantenuto intatto il suo senso dell’umorismo ed il suo sarcasmo nei testi. Questa persona “anziana” è ciò che vogliamo per il prossimo futuro: irritabile, invadente e magnificamente ‘meschino’, nel miglior modo possibile. Non è ancora giunto il tempo per mostrare i propri “termini della resa”. (Mia valutazione: Buono)

Fonte | babooroad

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