Brian Eno & David Byrne - My Life In The Bush Of Ghosts (1981)

di Silvano Bottaro

Quando uscì Remain In Light dei Talking Heads nel 1980 si disse: "Non è un disco del passato né del presente. Viene dal futuro". Ecco, questo giudizio va esteso a My Life In The Bush Of Ghosts. Pietra miliare per la musica degli anni Ottanta, concepito da Eno e Byrne prima di Remain In Light e uscito dopo per problemi di natura legale.
Brian Eno prima di inventare l'ambient music e di contribuire in misura decisiva alla trilogia berlinese di David Bowie, ha suonato con i Roxy Music. David Byrne è il leader dei Talking Heads, con i quali ha appena finito di girare il mondo per il tour post Fear Of Music.

Insieme lavorano a un'idea: scomparire per un po', e tornare a New York dicendo di aver trovato per caso l'album di musica etnica in un Paese che non c'è, e che solo loro conoscono (cit.)

L'idea di partenza è che il rock'n'roll sia diventato conservatore e noioso, e che forse sia necessario un balzo in avanti, o forse di fianco, per creare con più libertà. L'intuizione fondamentale è che nell'album non ci siano cantanti, ma solo voci registrate qua e là da Eno e ritmi complessi, non occidentali. Si lavora con le macchine, sincronizzando nastri e campionamenti, tagliandoli e provando a giustapporli con altri nastri. Si tratta insomma di inventare i campionamenti e la musica elettronica prima ancora che si possa campionare e produrre elettronicamente qualsiasi suono. Inventare qualcosa che non è possibile fare per davvero. Eno e Byrne si rivolgono soprattutto a ritmi e a voci libanesi, algerini, egiziani; parole e voci che hanno molto a che vedere con la religione (esorcisti, predicatori).
My Life In The Bush Of Ghosts si aggira con sicurezza in una giungla di ritmi talvolta squadrati, talaltra complessi, di sapore primordiale, di melodie terzomondiste, di suoni campionati.
Un'opera geniale di sintesi e nel contempo creazione futuristica.

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