St Germain - St Germain (2015)

di Damiano Pandolfini

Dicono che i parigini siano snob e che non si concedano facilmente. Ludovic Navarre, uno dei dj-cardine per lo sviluppo del french touch negli anni 90, si eclissava dalle scene proprio quando il famosissimo "Tourist" (2000) si trasformava in un successo da milioni di copie vendute, nonché - suo malgrado - nella fortuna di ogni pubblicitario nell'ambito del lusso e colonna sonora de rigueur per ogni aperitivo chic. Le ragioni della sua dipartita rimangono tuttora non chiare, sta di fatto che non l'abbiamo più visto per 15 anni.
Solo ad acque calmate, e dopo aver curato un remix di riscaldamento per Gregory Porter l'anno scorso, St Germain ha finalmente annunciato l'arrivo di un nuovo lavoro, titolato col suo stesso nome. Nel video del brano di lancio "Real Blues", che potete guardare qui a destra, lo si vede figurativamente "riappriopriarsi" del mondo attraverso una serie di maschere del suo volto, una mossa curiosa per uno che non si è mai fatto ritrarre di buon grado.

Fa dunque strano ascoltare finalmente il tanto atteso "St Germain" e rendersi conto che in realtà l'intero lavoro non presenta quasi nulla di autobiografico, ma si misura esclusivamente con la musica africana, impiegando una serie di musicisti del Mali che suonano kora, balafon e n'goni. Ma se già ai tempi di "Tourist" St Germain si era candidamente autodefinito "non all'altezza" per stare in studio con dei musicisti jazz di tutto punto, la sua mano oggi si è fatta ancor più impalpabile e reverenziale nei confronti degli ospiti di turno, al punto che di house e french touch a tratti non si sente che una pulsazione appena, tenuta a tempo da uno schiocco di dita.

Comunque la si giri, "St Germain" lascia l'amaro in bocca. Otto tracce che si dipanano su languide jam afro-jazz, con Navarre nascosto in un angolo ad ammorbidire il suono togliendo nerbo alle radici africane ma non aggiungendone di suo - "Voilà", "Family Tree" o il canto ancestrale di "Sittin' Here" fanno davvero fatica a emergere dal mucchio, esattamente come il volto dell'autore ritratto in copertina, semicoperto dalla sabbia.
L'incontro tra culture non è sempre facile, certo, ma se per esempio Four Tet aveva dato ampio spazio a Omar Souleyman per portare avanti la propria dialettica in modo convincente, St Germain purtroppo a questo giro non ha ottenuto lo stesso effetto, perché né lui né i musicisti del Mali sembrano decidersi a prendere in mano la situazione, e tutto finisce in 50 minuti di (elegantissima) monotonia. E quando "How Dare You" sembra finalmente partire verso atmosfere lounge (al minuto 4 circa), ci si accorge che la formula è sostanzialmente identica a quella già coniata due decenni fa da "Boulevard".

Chissà, forse il tempo saprà rivelare nuovi aspetti di "St Germain", perché la strumentazione impiegata è tutto sommato curiosa per l'orecchio occidentale e la perizia di chi ci suona non è certo di primo pelo, ma per uno del calibro di Navarre questo disco suona come ordinaria amministrazione ricucinata con ingredienti appena più esotici. Oltre un decennio di attesa per un disco del quale, purtroppo, già non si sente più il bisogno. (Mia valutazione: Discreto)

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