Natalie Merchant - Paradise Is There (2015)

di Paolo Carù

Tigerlily (1995) è il primo disco da solista di Natalie Merchant. Dopo avere passato diversi anni, almeno dodici, come leader e voce solista dei 10.000 Maniacs, andando contro il parere di molti, compresa la sua casa discografica (Elektra), Natalie se ne va da sola, lascia la band proprio all’apice del successo. Tigerlily è un disco complesso che la Merchant incide a sue spese (infatti rifiuta il denaro della casa discografica, vuole essere libera da ogni tipo di pressione) e con dei musicisti giovani, ancora poco conosciuti. Un nucleo di entusiasti, che danno calore e anche colore al suono dell’album che, contro ogni aspettativa, si rivela un bestseller, arrivando a vendere più di cinque milioni di copie. E ancora oggi è uno dei più venduti del suo catalogo, assieme al quasi capolavoro Motherland (2001).
Natalie scrive nel suo sito, per presentare questo nuovo lavoro: «Tigerlily è il disco più significativo che ho fatto, perché mi ha definito come artista, come cantautrice indipendente. Ha creato un ponte tra me e il mio pubblico che mi ha sostenuto per vent’anni. Ho deciso di fare Paradise is There e il film, per loro. Le canzoni hanno una nuova vita ogni volta che vengono eseguite, non sono mai uguali a prima. Il tempo le ha cambiate come ha cambiato me».
Paradise is There è una rilettura, è vero, ma è anche un disco nuovo. Le parti orchestrali, gli arrangiamenti quasi cameristici, l’uso della fisarmonica, danno all’album e alle canzoni una nuova veste, tanto che alcune sono decisamente irriconoscibili. Sono nuove. Buona parte del merito va ai musicisti che collaborano con lei da parecchio tempo essendo parte integrante della sua band: Gabriel Gordon(chitarra), Jesse Murphy (basso), Uri Sharlin (piano e fisarmonica), Allison Miller (batteria). C’è anche un quartetto d’archi: Scot Moore (violino), Shawn Moore (violino), Marandi Hostetter (viola) e Stanley Moore (cello). Aggiunti poi ci sono il sassofono di Sharel Cassity e le voci di Simi Stone, Gail Ann Dorsey e Elizabeth Mitchell.
Prendete I May Know The Word, scritta al tempo per il film di Jonathan Demme, Philadelphia e poi messa in Tigerlily, diventa quasi classica, nel senso di musica, grazie a un arrangiamento orchestrale morbido e sofisticato al tempo stesso. Come anche Cowboy Romance, tra le mie favorite, una ballata toccante, con la fisarmonica che avvolge la voce di Natalie, mentre un sezione ritmica rarefatta e un violino forniscono il resto del tappeto sonoro.
Ma è tutto il disco ad avere un suono diverso, meno rock, certamente, più morbido, ma più aperto, approfondito, con le canzoni che distendono le proprie melodie attraverso sonorità completamente rinnovate.
Se Tigerlily rappresentava molto bene gli anni novanta, si può dire che Paradise is There è figlio di Natalie Merchant, il disco precedente ma, addirittura, ne acuisce le peculiarità: la bellezza di Cowboy Romance, sei minuti di puro piacere, non è certamente un caso unico. Anche Where I Go ritaglia il suo suono sulla versione originale, ma poi si personalizza moltissimo grazie ad un accompagnamento morbido e fluido, con la fisarmonica che tesse il suo suono dietro alla voce della protagonista.
Be/oved Wife è quasi cameristica, come costruzione. L'introduzione pianistica fa da apripista all'orchestra, morbida e re suadente, che dà al brano un tono quasi sinfonico. ln questa canzone l'orchestra si fa sentire, anche se rimane ben distribuita nella canzone, mai sopra le righe. San Andreas Fau/t apre le danze, come nel disco originale e, tutto sommato, non è poi tanto diversa: forse quella più simile alla prima versione. Carniva/ ha un inizio mosso (al tempo è stata la canzone faro del disco, il singolo apripista) e mantiene il suo pathos drammatico attraverso un arrangiamento succinto che lascia poco spazio alla strumentazione, dominata dalla voce decisa e molto espressiva della protagonista.
Carniva/ si sviluppa lentamente, lasciando fuoriuscire una melodia trattenuta che, ascolto dopo ascolto, lascia il segno per la sua forza intrinseca.
River, dedicata a River Phoenix dopo la sua tragica morte, è una canzone gentile, piena di affetto per il ragazzo che ci aveva lasciato ancora giovane e per i suoi genitori che lo avevano perso in modo improvviso. La nuova versione, che rimane come quarta (come nel disco originale), accentua la morbidezza del suono, quasi a rendere ancora più commovente il testo in cui Natalie prima si fa prendere dalla rabbia verso quelli che avevano parlato male del ragazzo, ma poi chiede silenzio e rispetto, almeno per i genitori. The Letter in questa nuova versione è proprio una lettera, con una struggente base orchestrale e la voce di Natalie che declama in modo intenso, toccante. Jea/ousye Wonder, i due brani più popolari all'epoca, assieme alla già citata Carniva/, sono la chiave di lettura finale di un disco assolutamente affascinante. Quasi jazzy la prima, aperta da un sax discorsivo che tesse la sua melodia su una base mossa, lasciando poi uscire la voce, con la canzone che diventa una ballata rock fornita di un bel ritornello. Wonder è invece lenta e riflessiva, introdotta da una chitarra acustica.
Rimane molto interiore, con piano, chitarra e poco altro a giostrare attorno alla voce e chiude in modo perfetto un disco di grande spessore. Un disco che cresce ad ogni ascolto e che si rivela poi, e questa era la cosa più importante, profondamente diverso dalla prima versione. (Mia valutazione: Distinto)

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