Andrew Bird - Are You Serious (2016)

di Luigi Lupo

Si muove dal folk all’indie-rock, sperimenta col violino, canta l’amore esplorandone le caratteristiche meno ortodosse. Are You Serious è forse il lavoro più versatile di Andrew Bird dopo i recenti album legati a temi o sonorità specifiche. Tende al pop, nelle strutture e nelle costruzioni melodiche, ma ricercatezza e sensibilità ne fanno un prodotto che va oltre questa definizione.
Andrew Bird, partito come violinista (Music of Hair del 1996), ha successivamente esplorato la sua vena artistica abbracciando chitarra e mandolino, e dimostrando un impegno profondo e sofisticato nella scrittura dei testi. Negli ultimi anni si è dedicato ad esplorare vari territori. Lo abbiamo visto nel 2012 in Hands of Glory, dove il musicista di Chicago incarnava la figura del cantautore folk chiuso nel suo cortile, aperto a riflessioni intense ed evocative. Poi nel 2014 ci offriva, all’interno di Things Are Really Great Here, Sort Of…, cover degli Handsome Family e, lo scorso anno Echolocations entrava in spazi bucolici con la sola forza di strumenti ed effetti. Ora il Nostro riunisce le diverse esperienze, sceglie nuove soluzioni, duetta con Fiona Apple e abbraccia un peculiare indie-rock, senza però mai abbandonare il suo violino, che a tratti, in Are You Serious, guadagna un suono da chitarra elettrica.
I cambiamenti, nel frattempo, hanno segnato la genesi dell’album. Andrew si è sposato, ha avuto un figlio ed è andato a vivere in California lasciando la sua amata Chicago, tema centrale dell’EP del 2013 I Want to See Pulaski at Night. Avvenimenti che si riflettono nei testi di questo album, più diretti e concreti rispetto alle primissime canzoni, dense di immagini, metafore e visioni. Capsized in apertura porta il violino a suonare elettrico, in un interessante gioco di manipolazione e sperimentazione; Roma Fade esprime una certa potenza evocativa, in una affascinante melodia di violini in chiave indie-folk. Vengono in mente i Kings of Convenience di Riot On An Empty Street. «È un testo – come ha dichiarato Andrew – che parla di un dialogo tra colui che guarda e colui che viene osservato, la linea sottile tra il fascino e il raccapricciante. Il racconto passa dalla terza persona alla prima, per rappresentare la trasformazione dell’osservatore». Melodie di violino, aria serena e spirito folk accompagnano le seguenti Truth Lies Low e Puma, prima della dolce ballata Chemical Switches, dove ancora una volta il riferimento agli Handsome Famiy esce allo scoperto. Il percorso si nutre di emozioni. Andrew Bird e Fiona Apple duettano in Left Handed Kisses riflettendo sulla decisione di avere un figlio, in una narrazione che oscilla tra affetto, sensibilità da genitore e visioni tragiche e negative: «Do you need a reason we should commit treason/And bring into this world a son/And leave the valleys of the young […] A valley of brunch and tedium». Quando Bird narra, lo fa aprendo completamente le porte della sua anima, liberando sentimenti ma anche visioni ed immagini. La sua voce e gli accordi di Saints Preservus rappresentano un classico della tradizione folk cantautorale che, nonostante la modernità e la tecnologia, non perde il suo fascino. Negli ultimi tre brani arrivano riff di chitarra elettrica, suonata dal nuovo membro della band, Blake Mills, e una corposa batteria, e si entra in territori lo-fi e “rock sperimentale”. Valley of the Young ci riporta ai primi The Velvet Underground e Sonic Youth; in Bellevue, Bird chiude la sua narrazione con una dichiarazione metaforica di amore e liberazione interiore:«ho trovato qualcuno che può placare la mia sete in una terra di siccità».
Come sempre, il gusto per la sperimentazione e la trasversalità stilistica accompagnano la vena creativa di Andrew Bird. L’album vive di momenti delicati ma anche più energici, in cui si riconosce un tema centrale unico, ovvero l’amore, sviscerato nelle sue varie sfaccettature da un’indagine a tutto tondo che acquista fascino nel gioco di immagini, metafore e figure retoriche. Confrontato con i precedenti album, incentrati su percorsi musicali monotematici, Are You Serious si dimostra maggiormente versatile e più orecchiabile. Da qui la definizione di “pop” ma in senso lato, per un lavoro costruito con cura certosina (Alan Hampton al basso e Ted Poor alla batteria ne sono concause) e grande raffinatezza. (Mia valutazione: Buono)

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