Violent Femmes - We Can Do Anything (2016)

di Emanuele Brunetto

Chi scrive di musica mai avrebbe pensato di poter nuovamente (o per la prima volta, nella stragrande maggioranza dei casi fra cui questo) riprendere in mano la penna per cimentarsi riguardo i Violent Femmes. Il loro silenzio, intervallato da sporadiche apparizioni dal vivo, sembrava di quelli senza via d’uscita. Invece lo scorso anno ecco “Happy New Year”, EP di quattro tracce licenziato in occasione del Record Store Day, mentre adesso è tempo del vero ritorno discografico per Gordon Gano e Brian Ritchie.

I due, assoldato per le registrazioni l’ex Dresden Dolls Brian Viglione alla batteria (già sostituito da John Sparrow per i live in programma), escono con un disco che a partire dal titolo la dice lunga sulla percezione che i Violent Femmes hanno di se stessi: We Can Do Anything. Una convinzione dettata probabilmente da quell’aura mitologica che circonda la formazione americana fin dagli albori, da quel 1983 in cui pubblicavano il loro omonimo esordio dando il La a un’esperienza apparentemente banale ma che si sarebbe rivelata a dir poco seminale.

Gli anni trascorsi da quel debutto sono quasi ventitré, mentre quelli dall’ultimo lavoro in studio, il prescindibile “Freak Magnet”, sono ben sedici: un’eternità che, però, non ha scalfito l’approccio stilistico dei Violent Femmes, la loro indole punk con spiga di grano in bella vista dentro il taschino della camicia, l’indolenza della voce di Gano che pare aver stretto un patto à la Dorian Gray, la semplicità di soluzioni acustiche che vanno dritte al sodo senza perdersi in chissà quali elucubrazioni.

Tutto ciò, però, produce una sensazione di déjà vu lunga mezz’ora (la durata della tracklist) che ha un duplice effetto: se da un lato brani come il singolo Memory o Travel Solves Everything riescono a coccolare l’ascoltatore interessato come la mano rassicurante e amorevole dei nonni, dall’altro ci si ritrova colpevolmente a pensare che di un album del genere, nel 2016, non ci sia davvero che farsene.

Colpevolmente, sì, perché in fondo non c’è niente che non vada nel disco se non il suo essere ciò che è, ovvero un’autocelebrazione (piacevole) che sa tanto di pretesto (fin troppo evidente) per imbarcarsi in una nuova serie di concerti in cui il momento topico rimarrà sempre “Blister In The Sun”. La sostanza è che no, neanche i Violent Femmes possono fare qualsiasi cosa gli passi per la testa, ma a Gano e i suoi può essere perdonata questa furbata se necessariamente propedeutica alla loro ricomparsa. (Mia valutazione: Buono)

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