di Fernando Rennis
Tutto adesso. Potrebbe esser il motto di una pubblicità di Netflix oppure la didascalia per quest’era frenetica del web 2.0, segnata dai social e dall’istante che diventa azione cristallizzata nel tempo, da consumare, però, nel momento stesso della sua messa in atto. Quindi, non solo tutto, ma anche adesso: un po’ come cancellare il passato dopo averci giocato per qualche eterno istante e non riflettere troppo su quello che potrà accadere domani. Stiamo parlando del tempo, e di cose – in brevissimo tempo – ne possono succedere: interi album prima ancora di essere pubblicati sono già in rete sui siti di file sharing, gli inediti suonati in un live fanno il giro del mondo quasi in contemporanea; insomma, bisogna stare attenti. Sì, perché può capitare di svegliarsi una mattina e scoprire che gli Arcade Fire, sempre fedeli alla loro Merge Records, abbiano firmato per Columbia, casa di mega-star come Beyoncé e compagnia bella. Come diceva Bob Dylan, «The Times They Are …
Ti ricordi di quell'agosto, e di tutto quel che è successo dopo… I dischi di Bob Dylan e dei Byrds e della Band, quei vecchi lp (sì, c'era anche Joni Mitchell), con le macchie di caffé sulle copertine, quelli che ti aveva regalato Anna. Ricordi come tremava, quanto era spaventata? E dopo l'agosto, ricordi le piogge autunnali a Baltimora, il freddo pungente di San Francisco, New York luccicante di neve, a Natale, e le nostre facce a congelare davanti alle vetrine, verso l'alba, di fronte a quei palazzi blu? Volevamo solo concederci il lusso di un po' di smemoratezza, volevamo sembrare zingari, romantici e hippie come tutta quella gente a Woodstock, come Picasso, come Gram Parsons, e invece eccoci qui, a ricordare di nuovo. Le canzoni di Alex Chilton e le camminate notturne su Sullivan Street. I pianti di Maria. Ricordi quando stava su quel cornicione, quando diceva di essere "stanca e nauseata dalla vita"? Tutti siamo stanchi di qualcosa. E che band sogna…
Fu un fulmine a ciel sereno l'esordio nel 1994 di questo figlio d'arte, che aveva ereditato dal padre Tim una vocalità quasi angelica e spinta fino a quattro ottave di estensione. Fu un fulmine a ciel sereno perché nessuno pensava che in un disco solo si potesse sintetizzare lo spirito di un decennio di fuoco (in ambito musicale, ovviamente) come gli anni Novanta, con il lirismo di Cohen e Van Morrison, la grazia di Edith Piaf e Nina Simone e le tessiture classiche di Benjamin Britten. Il risultato di questa miscela, al quale va aggiunta la chitarra di Jeff, uno dei chitarristi più grandi e sottovalutati degli ultimi vent'anni, è un disco che sembra quasi privo di collocazione spaziotemporale, etereo e corposo allo stesso tempo, sospeso fra raffiche del torrido vento di Seattle, ma elevato a livelli celesti dal volo della voce di Buckley. Il resto lo fanno canzoni come Grace, Lover You Should've Come Over o Last Goodbye, oltre all'ormai inflazionatissima cover di …
Commenti
Posta un commento