Kelela – Take Me Apart (2017)

di Damiano Pandolfini

Schietta e diretta Kelela lo è sempre stata, i voli pindarici non sono proprio il suo forte. Ma la calma che permea il lancio dell'"S.O.S." qui sopra è possibile solo per chi, come lei, ha scandagliato a fondo il bagaglio delle proprie esperienze personali - e non senza aver versato lacrime e assaggiato l'amarezza della perdita, dell'umiliazione e dell'abbandono. Quante delusioni deve aver vissuto sulla propria pelle, quanti imbecilli l'hanno fatta sentire piccola, quanti compagni insensibili hanno strisciato nel suo letto, per poter arrivare adesso alla piena consapevolezza di richiedere l'amore di un uomo con tal crudo trasporto emotivo e rispetto per sé stessa? In questo Kelela ti disarma e poi ti stende con un bacio; in lei troviamo una dimensione di femminilità che va ben oltre la pornografia voyeurista nella quale vengono inserite tante donne-oggetto del mondo dell'r&b. Kelela si confessa senza remore, sfoderando una qualità spesso sottovalutata a questo mondo: la tenerezza.

Il suo nome potrà suonare ancora nuovo ai più, ma tra gli addetti ai lavori e i seguaci di certo r&b vige una certa isteria nei suoi confronti, fomentata appunto dal modo in cui lei sembra riuscire a incarnare il lato più tenero e intimo della sensualità sopra descritta - qualità che latitano da anni nel panorama, forse sin dal "The Velvet Rope" o dalla scomparsa di Aaliyah. Dal canto suo, Kelela non ha svenduto un briciolo del calorosissimo hype che la circonda, spesso mantenendo lunghi e snervanti silenzi. Danny Brown, Solange e i Gorillaz l'hanno voluta come ospite, gli XX se la sono portata in tour, e questo per tacere del mondo della moda e della fotografia, che non è certo rimasto indifferente di fronte al suo sinuoso corpo d'ebano, occhi giganti e dreadlock casualmente gettati da un lato. Ma Kelela non è solo l'alt-fashion girl del momento, buona a riempire le copertine di stilose riviste underground. Kelela è una donna di 34 anni, caparbia nei suoi silenzi e con una ferrea visione artistica, una tipa che, nonostante il polverone alzato quasi un lustro fa dalla nebulosa passivo/aggressiva di "Cut 4 Me", ha richiesto alla sua attuale etichetta - una certa Warp - oltre due anni di tempo prima di andare sotto pubblicazione. L'onestà della sua scrittura, la certosina cura della composizione e le sofisticate e stratificate sonorità elettroniche che ha scelto per farsi accompagnare a questo giro sono frutto di un lavoro lungo e tortuoso, ma che la rispecchia in pieno.

Già il titolo di questo suo debutto ufficiale non fa prigionieri; "Take Me Apart" smembra ed espone senza filtri tutta la gamma dei suoi sentimenti, investigando nel profondo di un'anima allo stesso tempo delicata come carta cinese e resistente come acciaio. Tra le sue ispirazioni compaiono Erykah Badu e una certa Janet Jackson ovviamente, ma anche Amel Larrieux, altra formidabile cantautrice soul/jazz già attiva negli anni 90 dell'era neo-soul come metà del duo Groove Theory.
Viscerale ma con eleganza dunque, su un pezzo come "Better" Kelela mostra subito le ossa, i nervi e le vene; una splendida ballata sostenuta da soffici battiti di synth e una melodia di cristallo incrinata dalla voce dolente. Poi, nel ponte, il ritmo si agita su battiti industriali, ma il climax dell'intero pezzo viene raggiunto con un brevissimo momento dove tutto si acquieta e rimangono solo il pianoforte e la voce che salta d'armonia con un pulitissimo falsetto - espediente di una semplicità disarmante, ma che manda brividi lungo la schiena per il modo in cui trasfigura il tutto senza stravolgere il sentimento originale del brano.

Un polverìo di archi neoclassici accompagna il momento forse più melodrammatico del lotto, "Turn To Dust", pezzo che sembra prendere a lezione i più recenti espedienti di Bjork: la tensione emotiva viene creata lasciando galleggiare la voce in solitudine su qualche sparuto beat e la corda pizzicata di un violoncello, e l'effetto è lacrimevole. La controparte emotiva a tale tensione viene invece offerta dalla conclusiva "Altadena", una tersa ballata pianistica reminescente dei lavori di Imogen Heap ai tempi dei Frou Frou.
Ma non ci sono dubbi, il primo momento topico del disco lo si trova con la title track messa al terzo posto della scaletta; il pezzo parte lento, Kelela decanta con voce sconsolata su una fremente base elettronica, ma nel momento in cui parte il ritornello i synth esplodono e rimbombano nella vastità di una chiesa vuota, affastellandosi l'uno sull'altro mentre ti scavano nell'anima. Anche qui, l'intermezzo a sorpresa gioca una carta inusitata che spiazza tutti: una breve sequenza di accordi disco-funk e voci doppie che richiamano i Jackson 5, ricreata però con un'accuratezza tutta post-moderna.

Dall'altro lato dello spettro emotivo del disco troviamo invece una Kelela spiritosa, emancipata e alquanto sicura delle proprie possibilità. Sul video del singolo di lancio "LMK", pezzo guidato da un cavernoso refrain, la vediamo sorridente e slanciata mentre gioca con le maschere di varie personalità (da brava Gemelli con la testa per aria qual è); stasera la ragazza ha voglia di flirtare e divertirsi, vuole scopare e vuole anche sentirsi desiderata e soprattutto rispettata, ma non è qui per farsi mettere la fede al dito come l'oca di turno: ripete con divertita nonchalance, conscia anche del fatto che le sue amiche la stanno aspettando in macchina, nel caso lui non se la senta di portarsela a casa. E questo per tacere del simpatico gioco erotico di "Truth Or Dare", un pezzo con effervescenti saltelli urban-pop che riaggiorna ai tempi nostri l'attitudine scanzonata di gruppi storici come le TLC e le En Vogue. Stesso discorso anche per "Waitin'", morbidezza anni 90 e tastiere quasi baleariche a condire una delle interpretazioni più svagatamente ovattate dell'intero lavoro. "Blue Light", invece, tende a farsi distorcere da un drop in aria dubstep, il vocoder screzia e maschera la voce proprio nel momento in cui Kelela sta per arrivare al sodo, come se volesse far scendere un velo di privacy di fronte alle orecchie dell'ascoltatore, che in questo caso rimane con le labbra a penzoloni.

Una menzione a parte va però fatta per quel disperato gioiello pop che è "Onanon", canzoncina dal ritmo andante come una giostra avvolta dalle foglie autunnali, che a momenti richiama la sua vecchia "Rewind" ma si presenta pregna di una nuova, ferrea umbratilità: decanta Kelela con fare a cavallo tra il rassegnato e lo speranzoso, mentre la doppia voce impiegata per dar risalto alle parole spinning around ci trasporta nella pista di una discoteca vuota e a luci spente, lontana dai lustrini che furono di Kylie. Semplicemente geniale poi il modo in cui l'on and on del titolo richiama l'andi-rivieni delle dinamiche di assestamento di una relazione avanzata, ma allo stesso tempo sembra anche alludere all'onanismo di certe situazioni che con un po' di maturità in più sarebbero evitabili: pugnette sentimentali, insomma.

Un consiglio? Non mettevi alcuna fretta. Kelela ha impiegato oltre due anni per trovare le giuste parole e cucirvi sopra una veste che sia in grado di rivelarne tutte le sfumature. Per chi l'ha seguita nel corso degli anni, la progressione di ricerca sonora è lampante: dai tempi degli spigoli elettronici di "Cut 4 Me" come prototipo del linguaggio della Fade To Mind, fino agli striduli queer beats in Hd di Arca su "Hallucinogen", Kelela ha ascoltato, raccolto e fatto tesoro di tutto e tutti, ma ha continuato a navigare verso una dimensione che è solo e soltanto sua. Prova ne è il fatto che su "Take Me Apart" i collaboratori son quasi tutti gli stessi del suo passato, incluso quel Jam City col quale aveva già messo a punto una finissima fattura come "Cherry Coffee", eppure il suono di Kelela oggi non potrebbe essere più distante da allora - confrontate il vecchio pezzo qui sopra col notturno pulviscolo di luci all'orizzonte della nuova "Frontline", sempre co-prodotta con Jam City.
Su carta siamo di fronte a cinquanta minuti abbondanti di soli voce e tastiere, che necessitano sicuramente di più ascolti, di tanta attenzione e di una certa predisposizione all'introspezione dell'anima, magari condita pure da un tenero bisogno di sesso fatto con un'anima a noi complementare, il che può essere una richiesta troppo ambiziosa per un disco. Ma una volta capito il trucco, una volta svelato il gioco di sottrazione qui attuato con grazia sibillina, ci troviamo tra le mani una vivida collezione di canzoni morbide, sensuali, tristi, emotive ed eleganti. A qualcuno farà strano pensare a una cantautrice di stampo r&b come Kelela sotto allo storico marchio della Warp, e invece l'unione tra i due al momento è quanto di più futuribile possa esserci nel 2017. Raramente voce e tastiera da soli sono in grado di innalzarsi all'unisono con tale enfasi: questa è elettronica del cuore.

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