Scott Matthew – Ode To Others (2018)

di Ignazio Gulotta

Se c'è un argomento scivoloso e difficile da cantare, questo è il dolore, troppo facile cadere nel patetico, sfuggire alla tentazione di suscitare facili lacrimazioni e di farsi compiangere per la propria miserevole sorte. Qualche sospetto deve essere venuto al nostro Scott Matthew che, giunto al settimo album, "Ode to Others", ha deciso di cambiare almeno di qualche grado la direzione di marcia: «È il primo album che ho scritto e che non riguarda l'amore romantico. Certo c'è comunque un senso di romanticismo, ma questo non è collegato al mio personale amore romantico. Ma riguarda le persone e i luoghi ma non le mie presenti pene sentimentali….Ci sono testi dedicati a persone che amo o ammiro, anche persone di fantasia, e luoghi che stanno nel mio cuore. E questo mi ha davvero ricaricato». Sono passati tre anni dal precedente “These Here Defeat”, molto cupo e negativo, riflessione su una relazione finita amaramente, e Scott Matthew ha voluto così dare un cambio di prospettiva alle sue canzoni, che cominciano così a rivolgersi non più, o almeno non soltanto, al suo intimo, ma anche verso l'esterno.

Accanto a brani dedicati al padre, Where I Come From, a un defunto zio, Cease and Desit, o a un suo caro amico e all'anniversario della fine di una sua relazione, Not Just Another Year, ce ne sono altri dedicati ai luoghi in cui ha trascorso periodi importanti della sua vita e che molto ha amato, dall'Australia della sua infanzia, Flame Trees una cover della band aussie Cold Chisel, a New York, The Sidewalks of New York altra cover di una canzone di fine Ottocento, ma il disco si apre con End of Days, un invito a resistere alla politica dell'attuale Presidente USA che insieme a The Wish, canzone dedicata al massacro di Orlando del 2016 quando un uomo entrò in un club uccidendo 49 persone in gran parte della comunità LGBT, volge lo sguardo su tematiche pubbliche e politiche, anche se declinate sempre con un appello all'amore come unica forza che può contrastare queste derive pericolose. A parte questi cambiamenti di prospettiva che riguardano in particolare i testi, lo stile e le canzoni di Scott Matthew non hanno subito grandi mutamenti, gli arrangiamenti sono come sempre minimalisti col piano, gli archi e la chitarra in primo piano e tesi a sottolineare il pathos emotivo della voce di Matthew, che però rischia di farsi sommergere da un sovrappiù di drammaticità e sentimentalismo, come accade in canzoni come Not Just Another Year o in Where I Come From. Pur contenendo qualche canzone ispirata, il disco non sfugge a un eccesso di languore romantico, a un canto che alla fine rischia di diventare monotono.

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