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Home Sweet Home - Mötley Crüe (1985)

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Dopo chilometri di eccessi, droghe e alcool, dopo aver toccato il cielo con un dito e pensato che il mondo sarebbe stato per sempre nel palmo delle loro mani, qualcosa nella parabola dei Mötley Crüe stava cominciando a rotolare per il verso sbagliato della collina. Stavano perdendo il contatto con la realtà. Quando si trattava di avvicinare una donna, non erano più capaci di corteggiarla in modo tradizionale, si limitavano a dire, come aveva fatto Nikki con Nicole: «Senti, ho dell'eroina, della coca e un po di eccitanti. Ho anche un paio di bottiglie di whiskey. Perché non fai un salto da me?». Il problema era che la ragazza, come tutte del resto, aveva detto sì. Anche se i Mötley Crüe si erano resi conto che tuto stava scivolando loro di mano - il senso della musica, la bellezza dell'amicizia e la potenza di suonare in un gruppo - non sembrano avere voglia di fermarsi e ammetterlo. (M. Cotto - da Rock Therapy)

Pearl Jam - Dark Matter (2024)

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 di Tiziano Toniutti Un album diretto, scritto suonato e registrato a botta calda, ma che va riascoltato più volte per capire che cos'è il rock nel 2024. La "materia oscura", le paure del tempo che viviamo in cui "qualcuno paga per gli errori di altri" come canta Eddie Vedder nel brano che titola l’album, sono il carburante di un album che le accelera e le sbaraglia nella sua scia, fino a trasformarle in speranze. Tra parecchi alti e pochi bassi questo è Dark Matter dei Pearl Jam. Ci sono pezzi che rimarranno, su tutti “Scared of fear", "Wreckage" e la splendida "Setting sun". C'è l'espressività di una band levigata e insieme scorticata da trent'anni di palco, ci sono inevitabili rimandi ai loro stessi di ieri ma altrettanto inevitabilmente, vivendo chi sono loro oggi: "Wreckage" sembra un incontro tra "Daughter" e "7 o'clock", "Won't tell" rimanda a "Infallible" e al

Van Morrison - Beautiful Vision (1982)

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di Silvano Bottaro Dopo una pausa di riflessione, The Man è pronto a ributtarsi nella mischia e, coadiuvato da Pee Wee Ellis, Mark Isham, dal bassista Hayes e da una serie di fedeli musicisti, nasce Beautiful Vision - e la visione è davvero bella! Profumi e sapori d'Irlanda si mischiano a liriche religiose in un'opera strutturata su classiche melodie morrisoniane condotte dal canto personalissimo dell'artista irlandese. L'amore per i fiati, il rhythm and blues e l'apporto dell'orchestra, cornamuse e sintetizzatori, sensibilità e maestria, creano in questo disco delle "visioni sonore" facendone un'opera unica e profonda. Due le novità presenti in questo lavoro, la prima è la presenza Mark Knopfler alla chitarra dove in diversi brani conferma le analogie tra Morrison e Bob Dylan, Knopfker infatti ha partecipato in Slow Train Coming, Shot Of Love e Infidels seguendo l'iter artistico-religioso di Dylan in tutta la sua compiutezza.

Mingus Big Band - Live At Jazz Standard (2010)

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Chi e cosa è stato Charles Mingus? Le domande non sono così tautologiche come possono apparire. Nella storia dei grandi del jazz, porta agli estremi la ribellione culturale, l’esigenza di una riabilitazione personale, i problemi psichiatrici, una vitalità che molto spesso superava ogni eccesso nel cibo, nel sesso, nell’esternazione delle emozioni. Ma sopra ogni cosa Mingus è stato un genio creativo con pochi pari. Il burbero, scontroso, violento passa in secondo piano rispetto al musicista. È quello che successe poco dopo la morte, avvenuta nel gennaio del 1979: molti dei musicisti che avevano collaborato con lui, si strinsero intorno alla figura di Sue Mingus, la sua quarta moglie, e iniziarono a pensare a come omaggiare la sua musica. Tra l’altro, nonostante la debilitante malattia che lo stava progressivamente fermando, Mingus continuò a comporre e dettare musica, tanto che alla sua morte lasciò in eredità almeno 200 idee musicali tra spartiti, linee melodiche, idee sparse qua e là.

Phosphorescent - Revelator (2024)

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di Fabio Cerbone  Non mandava segnali artistici da quasi sei anni Phosphorescent, pseudonimo dietro il quale si cela da due decenni il songwriting di Matthew Houck, musicista originario di Athens, Georgia, che ha diviso la sua ispirazione fra i poli di New York e Nashville, quest’ultima la città che lo ha accolto e dove attualmente Houck risiede e incide nel suo studio personale. D’altronde non si è mai mosso frettolosamente il nostro protagonista, tanto è vero che anche dopo gli apprezzamenti generali ottenuti con Muchacho, ancora oggi il suo album più rappresentativo, aveva atteso altri cinque anni per dare alle stampe C’est la Vie, disco di compromesso fra passato e presente dal punto di vista stilitisco, un po’ irrisolto o forse soltanto troppo ambizioso nei suoni perché i singoli pezzi del puzzle musicale riuscissero a incastrarsi alla perfezione. Non a caso la prima impressione che restituisce Revelator, titolo dall’afflato spirituale, è quella di un parziale ritorno a casa, di u

Sergio Caputo

Il romano Sergio Caputo esordisce al Folk Club, principale motore della scena cantautorale capitolina, sul finire degli anni '70. Lì viene notato dal cantautore Ernesto Bassignano, che lo mette in contatto con una piccola etichetta indipendente, la It, che gli pubblica un primo singolo, Libertà dove sei . Nel 1983, la CGD lo mette sotto contratto e gli pubblica l'album d'esordio "Un sabato Italiano ". Discografia e Wikipedia

New Delhi Freight Train - Terry Allen (1979)

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Viene da Lubbock, Texas, dove si trasferì giovanissimo e a cui dedicò il capolavoro Lubbock (On Everything). Eclettico, dunque di difficile etichettazione. Si sarebbe tentati di dire che la sua è border music in accezione ampia, nel senso che risente dei suoni dei territori confinanti con il Messico, ma anche perché il suo è un suono che confina con tanti altri e da cui si stacca quando ti sei quasi deciso a decretarne la parentela: mexicana, jazz swing, musica degli Appalachi, tex-mex, country-rock, honky tonk, mariachi, folk, boogie. I suoi personaggi sono cuginetti dei falchi della notte di Tom Waits, ma meno alienati e più disincantati, perché consumano le loro esistenze e i loro stivali, anziché a New York o Los Angeles, nello Stato della stella. (M. Cotto - da Rock Therapy)

Charles Mingus - The Black Saint And The Sinner Lady (1963)

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Jimmy Knepper è stato uno dei più grandi trombonisti del jazz. Dopo una straordinaria “gavetta” nei locali più famosi di tutti gli stati uniti negli anni ‘40, suonando nelle più prestigiose orchestre, a metà anni ‘50 ha l’incontro della sua vita, quello con Charles Mingus. Mingus lo scrittura per moltissimi lavori ma, come si è già detto nella storia precedente, Mingus aveva un rapporto quantomeno singolare con i suoi collaboratori: non rare erano le urla durante i concerti perchè non suonavano come voleva lui, le liti, le mani addosso. Ma con Knepper successe qualcosa di inaudito. Inizio anni ‘60, dopo il grande successo di Mingus Ah Um, il grande contrabbassista suona prima con il suo mito Duke Ellington in Money Jungles (1960, immenso capolavoro anche con la collaborazione di Max Roach) e poi inizia una proficua collaborazione con Eric Dolphy, con cui c’era anche una sorta di amicizia spirituale, non nuova nelle relazioni di Mingus ma sempre piuttosto movimentate: faranno insieme un

De Gregori canta Bob Dylan. Un lavoro riuscito

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Né omaggio né tributo ma semplice traduzione (in realtà non così semplice). Con questo album Il Principe "fa sue" alcune canzoni del maestro. Le scelte non sono per niente scontate. E l'operazione non delude, anzi... di Riccardo Bertoncelli  Innamorato di Bob Dylan fin da quand’era ragazzo, Francesco De Gregori non aveva mai pensato di dedicarsi specificamente al maestro, con un album di sue canzoni tradotte. Lo fa adesso, in un momento felice della carriera, e la sorpresa di chi ascolta è anche la sua, del protagonista: non era in programma, è venuto quasi per caso, per la voglia di non rimanere con le mani in mano dopo un lungo tour che a quel punto poteva bastare. Né omaggio né tributo ma semplice traduzione (in realtà non così semplice). Amore e furto è un diorama dylaniano largo cinquant’anni, dalle spine elettriche di Subterranean Homesick Blues alle voluttuose ombre di Not Dark Yet, dal gospel di Gotta Serve Somebody ai buffoneschi enigmi di Tweedle Dee and Tweedle

Daniel Lanois - Acadie (1989)

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di Silvano Bottaro "Volevo un disco di canzoni popolari ma anche di musiche insolite, misteriose, di istantanee e brani minori, e qualche strumentale psichedelico che portasse in viaggio chi ascolta. Trovo che sia bello quando si riesce a elevare lo spirito del prossimo, e tanto ho voluto fare, fornendo uno sfogo per l'immaginazione". Esiste dentro il suo DNA, il produrre musica. Daniel Lanois, giovane e affermato produttore di gruppi variegati provenienti dalla sua terra fredda chiamata Canada. Viene scoperto dal tam tam sonoro che circola nell'emisfero musicale, da Brian Eno, che a sua volta lo apre e lo esporta in terre più calde e internazionali. Ci mette poco a farsi conoscere, a breve produce: “The Unforgettable Fire” e "Joshua Tree" degli U2, "Birdy" e "So" di Peter Gabriel, "Robbie Robertson" dell’omonimo leader della Band, "Yellow Moon" dei Neville Brothers, tantissimi dischi di Brian Eno, "O

E T I C H E T T E

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